Sconfitti dal Monsone nella Gola della Tigre

Shuhe (LiJiang), Hutiao Xia, 13-14-15/07/2011

Tornato alla base. Sputacchiato senza troppe cerimonie dalla Gola della Tigre dove ho dovuto riconoscere al signor Monsone chiara supremazia.
Dopo un avvicinamento all’attacco dell’alta via della Hutiao Xia durato circa cinque ore dopo la partenza da Shuhe (incantevole cittadina Naxi a quota 2.400, tempestata di ponticelli e canali, alle porte della ben più nota Lijiang – raggiunta grazie a altre cinque ore circa di bus il giorno prima invece delle tre previste, causa rifacimento strade), a bordo di un furgoncino scassato dove salivano e scendevano i personaggi più svariati (di almeno quattro etnie diverse), lungo strade che definire innominabili è ben poco, una volta a Qiaotou – quota 2100, porte della Contea di Shangri-La – ci siamo ritrovati, sotto una pioggia martellante che non aveva alcuna intenzione di mollare dopo già 48 ore d’insistenza, di fronte a un sentiero divenuto fangoso e tutt’altro che solido.
Anche durante il ballonzolante e doloroso (per le chiappe e la schiena) viaggio, attraverso insediamenti Naxi e tibetani (“insediamenti” significa due-tre case o un improbabile motel), avevamo superato frane – alcune di dimensioni imponenti.
Siccome scivolare significherebbe finire qui:


e siccome non ha troppo senso un trekking di questa lunghezza sotto l’acqua se hai una bimba sulle spalle e una che ti cammina accanto, abbiamo prudentemente optato per il ruolo dei genitori responsabili e delle persone dotate di senno, ripiegando su una destinazione più prossima e abbordabile: la cosiddetta Upper Tiger Stone, la prima grande rapida del fiume Yangtze (qui chiamato dai locali Jīnshā Jiāng, “fiume dalle sabbie dorate”).

Ne è valsa la pena.

Quello che abbiamo visto è inimmaginabile, talmente spaventoso e annichilente che la mente non riesce a capacitarsi, a realizzare quanto stai osservando, a concepirlo tutto insieme – e foto e filmati ne rendono solo in piccolissima parte la potenza infernale.

Ne è valsa la pena, anche se abbiamo dovuto fare in fretta ritorno perché ormai inzuppati (tranne la più piccola della comitiva, ben protetta nel suo dispositivo fantascientifico Vaude).

Il ritorno a Shuhe è stato altrettanto ballonzolante e fradicio. E il giorno dopo di nuovo in viaggio, verso Dali.
Adesso qualche giorno di riposo, e per fortuna intanto è spuntato il sole.
E poi, causa disguido burocratico, ci aspetta il lungo viaggio verso Hong Kong (strana città: ti resta dentro) e il ritorno in Italia anticipato di un mese. Peccato, ma sono stati comunque due mesi intensi, e c’è tanto da fare anche a casa.